martedì 22 luglio 2025

EagleXMan 113

EagleXMan 113 extreme triathlon, Parco Nazionale del Gran Sasso, 19 luglio 2025

Mi invitasti, decidendo di comparire inaspettatamente alla mia vista. Non sapevo se accettare l’invito, non mi sentivo all’altezza. Arrivarono gli amici, e iniziai a conoscerli. Arrivarono le amiche, e iniziai a conoscermi. Sei il centro circondato da un vasto altopiano. E il destino volle che anche nel mio centro si aprisse un vasto altopiano. Questo strappo, sia nel fisico che nell’animo, cambiò per necessità il mio approccio alle discipline sportive, sia nella pratica che nello spirito. E questo era il necessario. Arrivarono i principi, uno per volta: doloroso fu l’apprendimento di ciascuno di essi, ma una volta appresi furono le note su cui suonare la propria musica. A questo punto accettai l’invito. Io, le mie amiche, i miei amici: un gioco di squadra. In Re maggiore.

Le amiche:

Kokoro, colei che desidera, con ardente passione.

Yama, colei che pianifica, con fredda razionalità.

Fudōshin, colei che agisce, con ferma determinazione.

Gli amici, bellissimi:

Bianco leone alato, occhi turchese, spirito guida del nuoto, portatore di pace interiore.

Nero serpente femmina, occhi smeraldo, spirito guida della bici, presiede la salute della pancia.

Grande aquila, spirito guida della corsa, presiede la salute dei muscoli e il passaggio verso l’oltre.

Leopardo, il mio giocoso amico.

I principi:

Kaizen: lavora ogni giorno per migliorarti.

Mushin: fa’ che diventi un’abitudine.

Kintsugi: perdona le tue ferite.

Kokoro: sogna con ardente passione.

Yama: analizza con fredda razionalità.

Fudōshin: agisci con ferma determinazione.

Keiken: trasforma ogni esperienza in insegnamento.

Kyoshin: coltiva la mente vuota del principiante.

Kesshin: punta all’obiettivo.

Fūrin kazan: quando è il momento, dai tutto.

Dokkōdō: questa è la via che si cammina da soli, questa è libertà.

 

Nuotare nel Lago di Campotosto, vedendo il sole che sorge tra una bracciata e l’altra, è stato delicatissimo. È così puro, che, entrandoci, si ha il timore di sporcarlo. Le sue acque sono così morbide che sembrano luce tra le dita.

Pedalare nella Valle del Vasto è stato incantevole. È così bella, che le parole non riescono a descriverla. Consiglio di visitarla, ricordandosi di dare sempre la precedenza ai branchi di cavalli che attraversano liberi la strada.

La salita a Campo Imperatore è stata maestosa. Lunga 30 km, inizia piacevole dove finisce il bosco ed iniziano i pascoli. Ricordarsi di dare sempre la precedenza ai greggi di pecore che attraversano liberi la strada, scortati dai cani pastori. Poi si apre il grande spazio, fino ad arrivare al vasto altopiano spazzato dal vento, dove l’essere umano è solo un puntino nella maestosa grandezza che ha intorno. L’ultimo tratto è più ripido e il vento contrario fa sentire di più la fatica: bisogna resistere fino alla cima.

La discesa da Campo Imperatore è stata pericolosa. Due sono le cose che temo in bici: il traffico e il vento. E se ci sono entrambi, per me diventa difficile. C’era una coda di suv e di camper che salivano, c’erano tante moto che salivano superando la coda e tante moto che scendevano, e poi c’ero io che scendevo su asfalto dissestato, con le raffiche di vento che all’improvviso mi sbattevano in mezzo alla strada. Scendevo più piano possibile, più a lato possibile, con un solo pensiero: “Spero che non mi uccidano. Basta un attimo”. Quando mi spavento, per esempio se devo inchiodare perché una macchina mi supera per poi tagliarmi la strada per parcheggiare, succede che mi irrigidisco e inizia a girarmi la testa: a quel punto non riesco più a guidare, devo fermarmi e scendere dalla bici, riprendermi un paio di minuti, per poi risalire e ripartire.  Mi è successo 3 volte durante il percorso bike. Pazienza, l’importante è riuscire a gestirsi.

I primi 18km di trail sono stati faticosi per il gran caldo, sotto il sole più alto della giornata. Non vedevo l’ora di arrivare al checkpoint per prendere i miei bastoncini e salire al fresco, e dovevo fare in fretta per passare il cancello orario. Finalmente sono arrivata alla campanella, e ho iniziato gli ultimi 6km di vertical verso Campo Imperatore. Ero finalmente tranquilla, senza più pensieri di cancelli orari, consapevole di fare quello che a me riesce più facile: salire, con i miei bastoncini. Ero quasi ultima alla campanella: le posizioni che ho recuperato sono state tutte nel vertical.

A un paio di km dall’arrivo è arrivato mio marito, sceso apposta da Campo Imperatore dopo aver parcheggiato l’ammiraglia che mi aveva fatto da supporto. Bellissima sorpresa, mi ha fatto molto piacere fare insieme l’ultima parte. Graditissima quella tazza di tè che mi ha placato la sete. Nell’ultimo tratto in quota le gambe hanno deciso di ricominciare a correre. “Cosa fai adesso, corri?”, “Sì, perché noi veniamo dalle Orobie!”. Finish line, medaglia. I DID IT.

Ringrazio chi mi vuole bene, e mi ha aiutato senza nemmeno sapere cosa andassi a fare (solo il marito sapeva :-). Ringrazio anche chi non me ne vuole, perché ho imparato tantissimo. Ringrazio moltissimo mio marito, supporter ufficiale, senza il quale questa avventura non sarebbe stata possibile. Ringrazio il cielo, per la fortuna che ho a poter fare queste cose bellissime.

  

giovedì 26 giugno 2025

Trail del Centenario 2025

Foppolo (BG), 22 giugno 2025 

Trail del Centenario: 25km, 1700 d+. Elevarsi alla bellezza.

 

giovedì 22 maggio 2025

Vertical del Lago di Como 2025

Carate Urio, 18 maggio 2025

Il mio primo vertical. L’occasione per raccontare un’altra storia. Alziamo il livello di astrazione 😊


“Le sorelle del castello”

C’era una volta un castello, dove vivevano due sorelle che si chiamavano Kokóro e Yàma. Kokóro era piccola, seguiva solo il suo cuore e non voleva sentire ragioni, e per questo finiva spesso per farsi male. Yàma era grossa come una montagna, agiva sempre con ferma razionalità, e sentiva il dovere di proteggere la sorella affinché non si facesse male. 

Le due sorelle non erano mai d’accordo, e litigavano spesso. Quando una voleva studiare, l’altra voleva cantare a squarciagola tutto quello che provava. Quando una aveva gli occhi che brillavano di fiducia, l’altra fiutava il pericolo.

In un buio giorno di inizio inverno, Kokóro corse giù per le scale del castello, piangendo, fino alle segrete più profonde. Yàma indossò l’armatura, impugnò la spada, e si mise a difesa del castello: nessuno poteva più passare. E disse: “Riposa, sorella. Ora lascia fare a me. Ti prometto che un giorno ti porterò sulla montagna, dove sarai libera di risplendere, e la tua luce spazzerà via coloro che portano l’ombra nel cuore”. 

In un luminoso giorno di fine inverno, Yàma e Kokóro partirono per un lungo viaggio e iniziarono la salita alla montagna. Giunte alle porte del deserto, Yàma si fermò e disse: “Kokóro, ora tocca a te. Prosegui da sola. Sollevati in volo, e punta alla vetta”. Kokóro aprì le ali e si alzò in volo, falco del deserto. Volò sempre più in alto, fino alla vetta. Giunta sulla cima della montagna, Kokóro si guardò attorno. Vedeva solo bellezza, e provava solo amore. Le scese una lacrima. E disse: “Io sono Kokóro. Io sono l’amore puro, che nulla chiede in cambio. Chi ferisce me, ferisce l’essenza della Vita”. E dal pendio a valle, la voce della sorella le fece eco: “E io sono Yàma, la montagna posta a tua difesa”. Le due sorelle non litigavano più: avevano trovato il loro equilibrio, come le due sinuose parti di uno yin e yang. 

Stanche per le loro fatiche, andarono a coricarsi. L’indomani, al sorgere del sole, Kokóro e Yàma non c’erano più. Una nuova entità si era formata dalla loro fusione: non era nè piccola, nè grossa, era grande. Era bella, statuaria, dallo sguardo fermo e fiero, imperturbabile. Se in un momento c’era amore, lo lasciava scorrere libero, apertamente, perché era giusto così. Se in un momento c’era sopruso, attaccava senza esitazione, irremovibile, perché era giusto così. Se in un momento c’era pericolo, lo attraversava con passo composto e impavido, con lo sguardo rivolto all’orizzonte oltre la nube, perché era giusto così. Era nata Fudōshin, e si incamminava verso l’inaspettato con equilibrio e con profondo ed imperturbabile spirito.


sabato 3 maggio 2025

Linzone Trail Lungo 2025

Dopo tanto tempo, ritorno a trovare il mio amico Abraham Linzon. Ma questa volta partecipando ad un evento che me lo fa esplorare in lungo e in largo per inediti sentieri. Linzone Trail Lungo (LTL): 29 Km, 1700mD+, 6 aprile 2025.

Percorso bellissimo. L’hanami dei ciliegi selvatici in fiore, accompagnato dal tambureggiare del picchio. E anche l’hanami dell’aglio orsino, sebbene il suo odore non mi piaccia molto. Più su i boschi di bianchi tronchi di betulle, dove abitano le fate e dove canta il luì piccolo. Più su l’erba e i primi crochi. E davanti c’è Abraham: oggi è bello, bellissimo, circondato dal cielo azzurro, viene voglia di abbracciarlo. E poi di rimanere lassù, ad osservare i monti lontani. La discesa per prati e poi boschi sempre diversi, con sentieri ben puliti e a tratti tracciati appositamente per la gara: complimenti all’organizzazione! Correre in questi boschi è bellissimo: non ci sente più “se stessi”, quanto piuttosto “dispersi” nella bellezza intorno. E questo mette tanta pace. Sensazioni così belle che invitano a partecipare ancora a questo tipo di eventi. Sicuramente la giornata splendida ha contribuito alla magia.

Per la cronaca: prima partecipazione ad un trail. Regolamento letto, materiale obbligatorio preso. Un po’ di preoccupazione, perché non so bene cosa mi aspetta. Alla partenza l’ambiente fa una buona impressione: gente semplice, pochi fronzoli. Obiettivo concludere entro il tempo limite di 6 ore: tempo finale 5 ore, bene. Sempre con i bastoncini, perché la montagna senza il 4x4 non è pensabile per me. In salita bene, sembra di sciare, con la differenza che le braccia spingono una per volta anziché insieme (il prossimo inverno prendo gli sci da alternato, voglio imparare anche quello). In discesa non so come si fa, devo imparare. Obiettivo concluderla senza storte alle caviglie (che non la gradiscono), tutto ok. L’episodio più divertente: durante la salita, un bimbo di pochi mesi che, scendendo trasportato nello zaino porta-bimbo, fa le pernacchie a tutti i corridori che incontra. E io inizio a ridere e non la smetto più. 

Una gran bella esperienza che lascia la voglia di ritornare a correre per sentieri. 

Grazie Abraham.


mercoledì 19 marzo 2025

La Festa del Papà

Oggi è la Festa del Papà. L'occasione per raccontare una storia.

C’era una volta, tanti anni fa, una ragazzina che andava a scuola. Durante l’ora di ginnastica, non era presenza gradita in squadra, perché non faceva i punti per vincere. Le veniva chiesto di eseguire un gesto, e su quello era valutata, ma non le veniva mai spiegato come il gesto andasse eseguito, e non le riusciva spontaneo, senza insegnamento. A qualcuno la cosa faceva ridere. La domenica mattina la ragazzina andava a correre alle “non competitive”, che oggi si chiamerebbero “manifestazioni ludico motorie” o semplicemente “tapasciate”.  Che bello correre, come si stava bene correndo! Andava perché ci andava il suo papà, che si allenava per le maratone. Mentre la mamma scriveva la sua tesi di laurea in pedagogia sul “valore educativo” di quelle cose. Era un ambiente molto bello: tante persone felici, che correvano e ridevano, nessuno pretendeva niente da loro, ma ciascuno di loro aveva un obiettivo con sé stesso.  Era un ambiente che accoglieva tutti, molto inclusivo.  “Inclusione”: ci doveva proprio credere quel papà cardiologo che raccontava la prima volta alla maratona di New York di un paziente trapiantato di cuore, o la 100km del Passatore di un paziente infartuato. Ma i racconti che più facevano sognare la ragazzina erano le avventure sugli sci di fondo, in particolare quelle nel “Grande Nord”.

Raggiunta la maggiore età, la ragazza si scrollò di dosso l’ignoranza del sistema scolastico e divenne finalmente libera di godersi l’attività sportiva che le piaceva. Le corse divennero lunghe pause solitarie nei boschi vicino casa, tra un esame universitario e l’altro.

Diventata ormai giovane donna, un giorno chiese al suo papà: “Ma secondo te ce la faccio a correre la Maratona di Roma?”. “Certo!” fu la risposta. E tre mesi dopo, Roma fu. "Ma secondo te adesso ce la faccio a correre una 50km?”. “Certo!”. E due mesi dopo, 50 fu. La giovane donna si era ormai innamorata di quelle lunghe distanze. Per un po’ di tempo ebbe la fortuna di condividere avventure davvero piacevoli con un gruppo di amiconi che avevano la stessa passione: “la Squadra”, da voler bene a tutti. Poi, gli alti e bassi della vita, la salute che non sempre c’è. Ma quell’amore aveva ormai trovato dimora nel suo cuore, e da lì continuava ad ardere. Se non poteva essere corsa, allora diventava altro, ma sempre con lo stesso spirito, quello dell’endurance. E divenne bici, nuoto, sci di fondo, triathlon. La ricerca di nuove esperienze, il miglioramento continuo, imparare dai propri errori, alzare l’asticella, sognare e vivere i propri sogni. E godere di quel piacere che tutto questo dà. Partire per grandi distanze in solitaria, che più sono lunghe fuori, più diventano profonde dentro.

Sono passati diversi anni. Ora quella persona sogna tanto e parla poco, il più delle volte solo ad obiettivo raggiunto. Ma questo semplicemente perché, prima di un grande impegno, ha bisogno di raccogliere la massima fiducia in sé, e parole di preoccupazione, anche quelle di un genitore, non ne deve sentire. Se oggi quella persona si realizza e trova la felicità nel suo mondo sportivo, sa di ringraziare il suo papà, e la fiducia che le ha dato.




martedì 11 marzo 2025

Engadin Skimarathon 2025

Nuova avventura “unsupported” sugli sci stretti: destinazione Svizzera per la Engadin Skimarathon, 42km dal passo del Maloja fino a S-Chanf, passando per St. Moritz, Pontresina, Samedan. L’occasione per vedere tutta l’Engadina in una volta sola. Evento internazionale, 14 mila atleti al via, organizzazione impeccabile (davvero complimenti agli Svizzeri). Atmosfera festosa, bella, bellissima: quando senti sorridere in tutte le lingue del mondo, e questo ti fa sentire a casa. Vedo attorno persone simili a me, che amano le stesse cose, e questo mi fa stare bene.

La partenza al Maloja ha qualcosa di surreale: il sole sorge da dietro la montagna dissolvendo la nebbia sul lago ghiacciato, sulle note di Vangelis - Conquest of Paradise.  E gli atleti sulla linea di partenza vedono davanti a sé proprio un bianco paradiso, che invita ad essere attraversato.

Il livello dei partecipanti è alto, anche partendo nelle retrovie. Vedo donne danzare sugli sci in quella pianura sconfinata: osservo loro perché, mentre il gesto degli uomini è più basato sulla forza, quello delle donne è più basato sull’equilibrio. Io mi sono allenata sulle Orobie, dove non ci sono pianure, e qui ho tutto da imparare. Poi arrivano le salite. La prima, ripida, al km 13, ha dell’incredibile: è il primo “imbuto” del percorso e mi obbliga ad un’attesa di oltre 30 minuti perché le guardie fanno salire gli atleti in fila indiana. Mi viene un freddo ad aspettare lì ferma così… Fortuna che poi è salita, e mi scaldo. Le salite sono tutte pattinabili per me, ma evidentemente alla gente qui non piacciono, perché le affronta camminando. Mi faccio strada zigzagando. La neve è difficile, primaverile: a tratti sembra zucchero, a tratti sembra una granita bagnata. Terminato il saliscendi nei boschi tra St. Moritz e Pontresina, al km 21, si riprende la grande pianura bianca. A questo punto il mio gesto trova una sua sintesi di gravità e spinta (equilibrio e forza) per “volare” nel bianco fino al traguardo. È tutto così bello, bellissimo, che anche i miei pensieri sono belli, bellissimi. Davanti al vasto bianco, sovrastato di azzurro, non posso fare altro che ringraziare quell’infinito che dà a me, piccolo puntino, la possibilità di realizzarsi ed essere felice. I chilometri scorrono davvero veloci. Arrivano gli ultimi cartelli: 4 km al traguardo, 3 km al traguardo. A questo punto mi succede una cosa particolare: non voglio che finisca, mi viene da piangere, non voglio lasciare il grande bianco, voglio restare lì. Ho trascorso un inverno piuttosto difficile, e il bianco mi ha accompagnato, portandomi pace, non voglio andare via. Ma è giusto così, perché l’inverno volge al termine e la primavera sta per iniziare. Finish line, medaglia, rientro. Stanchezza, forse più emotiva che fisica.

Che possa custodire dentro di me la pace del bianco, mentre volgo lo sguardo all’orizzonte, nell’attesa dei colori che verranno.

Grazie Engadina.


giovedì 6 febbraio 2025

Granfondo Dobbiaco-Cortina 2025

Le cose belle, è bello condividerle. L’amore che provo per la mia attività sportiva, specchio di vita e di crescita, io avrei voluto condividerlo. Ma se manifesto la gioia e la realizzazione che mi dà, do fastidio. Anche se sono tra gli ultimi degli amatori. Mi dispiace. Ma io seguo il mio Dō, come direbbero gli occhi a mandorla. Se un giorno incontrerò sul mio cammino qualcuno che vorrà condividere allo stesso modo, ossia di cuore, sarà un piacere. Altrimenti, va bene lo stesso. Senza rancore, davvero.

Trasferta in solitaria sulle Dolomiti, modalità UNSUPPORTED. Vado a riprendere la fiducia in me, dopo i recenti acciacchi fisici e i segni che hanno lasciato. Nonostante tutto, ne esco più forte. Vado a trovare YUKI, un suono giapponese che assume significati diversi a seconda di come viene scritto: NEVE, DIREZIONE, CORAGGIO, FELICITA’.

GRANFONDO DOBBIACO-CORTINA, 2 febbraio 2025: 31 km sci di fondo, tecnica libera. I motori sono accesi, tutti e due questa volta: la benzina per spingere da Dobbiaco fino al Passo, il diesel per planare come un rapace su Cortina. La traversata delle Tre Cime non prevede alcun rifornimento, si fa tutta d’un fiato. Conoscevo il percorso al contrario, nella sua veste estiva, per aver corso un paio di volte la Cortina-Dobbiaco Run. Ma la Granfondo Dobbiaco-Cortina, nella sua veste invernale, è ancora più bella.

Io sono un’atleta.