Il perché. Decisione maturata circa 3 mesi prima. Perché, dopo l’ultimo del 2016 e i successivi 6 anni in “pausa bambini”, voglio dimostrare a me stessa che sono ancora capace di farlo. Luogo scelto perché il più vicino a casa, in modo da passare una sola notte in trasferta. Logistica familiare: niente bimbi al seguito oggi, quindi prima notte fuori casa e senza genitori per i due mister (i miei figli li chiamo così), uno da una nonna e uno dall’altra, altrimenti insieme diventano ingestibili.
La vigilia. Sono in crisi, non ho nessuna voglia di partire. Sarà lo stress accumulato nei mesi precedenti, la sveglia prima dell’alba e gli allenamenti incastrati tra lavoro, spostamenti da pendolare, gestione di casa e famiglia, il carico di responsabilità. E le pause forzate causa virus, e il posticipo della gara di due settimane causa elezioni. La motivazione ha avuto alti e bassi durante la preparazione, e alla vigilia ha toccato il fondo. Le telefonate a mamma e papà, e le parole di mio fratello che mi sbloccano: “ti piace nuotare, ti piace andare in bici e correre, vai e goditi il paesaggio!”. Ecco la motivazione per uscire domani mattina: godersi il percorso.
Alla partenza. Ho imparato in allenamento che devo evitare cibi solidi prima e durante. Quindi per colazione un bric di latte di mandorla Condorelli e un sorso di acqua calda. È ancora buio quando metto le borracce sulla bici. Ci sono 15 gradi e un’umidità di quasi il 100%. È tutto bagnato: le borse sulla bici, le scarpe lasciate nelle sacche dei cambi. Pazienza. Sono un po’ infastidita dalla mancanza di una tenda per cambiarsi. E vabbè, mi metto la muta all’aperto, seduta per terra. Poi rimetto giacca, berretto, calzettoni e scarpe, e mi dirigo sulla spiaggia con il marito, che ringrazio per la fondamentale assistenza. A questi eventi non si partecipa da soli! Il giudice alla griglia di partenza mi scambia per un accompagnatore… No, partecipo alla gara, sono vestita sopra la muta perché ho freddo… Pazienza. Poi arriva il momento di restare solo con la muta e mettersi nella fila di partenza del “rolling start”. Con i piedi nella sabbia fredda e umida inizio a tremare. Ci si distrae un po’ con la musica messa dal dj: bene la partenza dei pro con “Thunderstruck” e “Sweet Child O' Mine”, ma quando tocca agli age group parte un “A far l'amore comincia tu” che suscita qualche malumore tra gli atleti più rock. Una risata che ci voleva prima di partire!
Frazione nuoto. Si parte. Disciplina allenata solo in agosto al mare e a settembre in piscina, ma il mare calmo mi lascia tranquilla. Acqua fresca ma si sta bene, dopo un paio di boe vado in temperatura e prendo il ritmo. Mi tengo alla larga dalle cuffie rosa, visto che le manze sono sempre cafone in acqua (come volevasi dimostrare). Meglio le cuffie verdi, visto che i manzi di solito si fanno gli affari loro (come volevasi dimostrare). Traiettoria chirurgica e senza sforzo, senza movimenti inutili dispendiosi. Nuoto scivolato via tranquillo.
All’uscita dall’acqua sento che i solei sono nervosi e tirati, quindi per non farli arrabbiare procedo verso T1 camminando. In zona cambio mi battono i denti e tremo dal freddo. Non riesco a mandare giù altro che un sorso di acqua calda. Sì, metto anche un termos di acqua calda nella borsa del primo cambio. E dei sorrisini di manzi e manze non mi curo. Mi vesto come ho svolto gli ultimi allenamenti autunnali e parto in bici.
Ho pedalato parecchio nei mesi precedenti, più che per ogni altra gara preparata, perché è sempre la frazione in cui vado peggio. Sono partita sempre al buio, 30 minuti prima dell’alba, con le luci, in modo da rientrare a metà mattina per la domenica in famiglia, quando i bimbi vogliono andare al parco, c’è da preparare la polenta, c’è da passare l’aspirapolvere... Ho pedalato gravel, perché mi piace di più, perché posso fare le ciclabili anche se sono un po’ sterrate o se ci sono caduti sopra rami o sassi per un temporale, perché così non sono costretta a stare sempre tra le macchine, cosa che veramente non sopporto. Però due settimane prima della gara ho provato un percorso di asfalto pianeggiante, e ho constatato che con la gravel (anche con le gomme da strada) vado a 2 km/h in meno di quello che so che posso fare, e questa differenza è quella che rischia di farmi stare fuori dai cancelli della gara. Quindi la settimana prima della gara ho ripreso la mia bici da corsa, che non toccava l’asfalto dal settembre 2016, e ho rifatto quello stesso percorso, con i tempi accettabili previsti. La gravel è praticamente una mountain bike senza ammortizzatore. La bici da corsa ha i pedali “più duri”, ma ti fa sentire che tutto il tuo sforzo è trasferito alla strada, mentre la gravel “se ne perde un po’”, almeno su asfalto.
Frazione bici. Maglia calda, per proteggere lo stomaco. Ho provato la congestione in allenamento, fa venire i capogiri e poi svenire, ed è meglio evitare. Gambali, per tenere le gambe al caldo, altrimenti i muscoli mi mandano a quel paese e vanno in contrattura, ed è meglio evitare. Ribadisco che degli altrui sorrisini in zona cambio non mi curo. Fascia che copre fronte e orecchie, per tenere a bada sinusiti e otiti di questa stagione. Due borracce riempite di Polase (solo sali, non roba da sportivi zuccherata che il mio stomaco non accetta), di cui una standard e una termica. Due gel, rigorosamente senza caffeina, dell’unica marca che il mio stomaco tollera.
Primi 20 km pedalati piano e sciolti, perché sento il quadricipite destro nervoso e tirato e non voglio farlo arrabbiare. Poi si mette tranquillo e posso mettere il rapporto un po’ più duro. Nel tratto cittadino si devono scavallare due “cavalcavia” provvisori fatti di impalcatura e coperti da tappeto rosso, messi lì per gli atleti in bici in modo da non interrompere il traffico sotto. Trovarsi all’improvviso queste rampe all’8% mi fa un po’ strano in una gara Ironman, ma evidentemente in Italia funziona così. Pazienza, fatte. Poi il percorso diventa molto bello tra le campagne venete, anche se reso piuttosto faticoso dal vento. I lunghi tratti contro vento sugli argini sembra non finiscano mai! Ad un certo punto vedo davanti una giudice che mi fischia e mi sventola una bandiera rossa. Non immagino quale possa essere il problema, visto che non ho atleti a vista davanti né ne sento dietro. Le chiedo cosa c’è, e mi risponde chiedendomi se partecipo alla gara. Le dico di sì, e allora mi risponde che posso andare. Mentre pedalo mi faccio qualche domanda. Pensava che fossi un’imbucata! Oh giudice, anche se sono vestita di più degli altri, anche se non ho una bici figa o una bici con le corna come gli altri, ho il numero di pettorale come tutti gli altri, incollato sul casco e sulla bici secondo regole, e pagato secondo listino prezzi! Sveglia!
Procedendo tra le campagne, mi trovo su un tratto di strada che va percorso in due direzioni, all’andata e al ritorno. Io sono sul tratto di andata, e incrocio gli atleti sul tratto di ritorno. Ma le regole? No scia, no affiancati? Complimentoni! In partica le regole in queste gare le rispettano i primi e gli ultimi, la massa nel mezzo fa quel che vuole. E stavolta non ci sono scuse di sovraffollamento di iscritti o strade strette, è solo la scelta consapevole di non rispettare le regole del gioco.
Si rientra in città, altre due rampe rosse all’8%, e finalmente si arriva in T2. Tolgo i vestiti da bici e indosso quelli asciutti e puliti da corsa. Sì, metto anche i pantaloncini da running, perché correre con un pezzo di silicone sotto il c**o non lo trovo comodo. Sì, cambio anche la fascia in testa, quella nera è per la bici e quella bianca è per la corsa, sono in tessuti diversi per esigenze diverse.
Frazione corsa. Percorso di 3 giri, di cui mezzo giro in città e mezzo giro sul lungomare. Bello! In città ci sono tante persone che salutano e fanno il tifo, poi quando si arriva sul lungomare si rimane incantati guardando il mare, la spiaggia, il sole basso di ottobre e tutti i luccichii sull’acqua. Tratto molto rilassante: non appena lo concludi non vedi l’ora di fare il giro successivo per ritrovarti ancora lì. Procedo a passettino costante, quello che faccio da quando avevo 5 anni, lento ma poco dispendioso, una sicurezza per arrivare alla fine. E mi ritrovo a fianco sempre degli stessi atleti che alternano corsa veloce e camminata. Non prendo gel o altro perché il mio stomaco non tollererebbe, ma con un po’ di Coca Cola ai ristori ho quanto mi serve per arrivare. Adesso sono stanca. Ultimi duecento metri per ammirare il faro e le spiaggia, e poi la finish line! Ce l’ho fatta!
Vedo il tabellone che segna 7 ore e 20 minuti, bene dai! Sì, non indosso mai l’orologio in gara, quindi il tempo lo vedo solo al traguardo. Concludo il mio terzo 70.3 con 10 minuti in meno dei precedenti, anche se i primi due li avevo fatti tutti sotto la pioggia, oggi invece è stata una bella giornata. Prima di allontanarmi con il marito dalla zona arrivi, mi giro a salutare la finish line. Non credo che ce ne saranno altre. Mi piace nuotare, pedalare e correre, ma penso che in futuro li farò separatamente, per viverli in modo meno stressante. Soprattutto la bici, la vivo in un modo troppo diverso da quello che è richiesto in questi eventi. Come non faccio più le classiche mezze o maratone su asfalto cittadino, perché non mi ispirano più. È ora di girare pagina, chissà.
Il day after. Mi rendo conto di aver gestito bene la gara: nessuna crisi durante, sforzo moderato e costante in tutte le discipline. Il giorno dopo indolenzimento generale ma nessun dolore particolare. Il che mi consente di sistemare casa recuperando le faccende non svolte nel fine settimana. Altro che lunedì di ferie per riposare dalla gara di domenica: la mattina "animale da soma" tra la lavatrice di casa e l’asciugatrice a gettoni, il pomeriggio aspirapolvere… E va bene così.
Last but not least. I bambini sono stati bene dalle nonne, ognuna delle quali si è impegnata nel preparare tante gustose prelibatezze per soddisfare i palati esigenti dei piccoli mister. Tutti contenti, e va bene così :-)