La parete si è danneggiata lo scorso dicembre, a seguito di un improvviso e forte gonfiore addominale (come ritrovarsi incinta all’ottavo mese dall’oggi al domani, senza ormoni smollatori). Qualcosa aveva alterato l’equilibrio, e alle mie già note intolleranze a cereali e latticini si è aggiunto il crollo delle capacità digestive di grassi e proteine. La pancia è andata in tilt, e ha fatto boom. Oltre allo strappo principale si sono fatti altri due strappi, che separano ciascun retto dal vicino obliquo.
Per prima cosa ho iniziato a curare la pancia. E sto continuando a farlo: dopo 9 mesi sono alla versione 5.0 di quello che ho chiamato PROTOCOLLO DI RIPRISTINO del microbiota intestinale, della impermeabilità intestinale, e della funzionalità epatica e pancreatica. Ricerca, studio, esperimenti e osservazioni in una retroazione continua volta a trovare la soluzione migliore su misura per me. Ha funzionato, e continua a funzionare. Ormai la mattina, quando preparo i miei integratori per la giornata, faccio l’appello dei probiotici: li chiamo per nome, uno ad uno, come se fossero una squadra di giocatori pronti a scendere in campo, ciascuno con la propria funzione.
In parallelo ho lavorato ad un SISTEMA DI SUPPORTO ALLA NUTRIZIONE fatto di integratori che potessero sostenermi sia nella vita quotidiana che soprattutto nell’attività sportiva. A proposito di attività sportiva: all’inizio lo strappo faceva male, ho dovuto immobilizzarlo in una fascia stretta. Per quasi un mese non mi sono mossa. Quando il dolore è diminuito, ho iniziato a camminarci su. Ho iniziato a fare gli esercizi ipopressivi per rinforzare tutte le pareti della “scatola” addominale. Ho iniziato a pedalarci su (con i rulli). Ho iniziato a sciarci su, persino a fare una gara di sci di fondo, con la fascia indossata. In primavera ho iniziato a correrci su, ma sull’asfalto faceva male, allora sono passata agli sterrati. Sono arrivate le salite, sia a piedi che in bici, con il busto il più eretto possibile per non generare sovrapressioni addominali. Quanto sono serviti i miei inseparabili bastoncini da trail. Il SISTEMA DI SUPPORTO ALLA NUTRIZIONE era sempre presente, sempre più affinato e ottimizzato. Ha funzionato bene, mi ha permesso persino di arrivare sul Gran Sasso in un triathlon extreme. Se durante l’attività sportiva fluisce libera la poesia di Kokoro, è perché dietro c’è tutto il lavoro silenzioso di Yama. Ricerca, studio, esperimenti e osservazioni in una retroazione continua volta a trovare la soluzione migliore su misura per me. Un esempio? Io assimilo bene solo il glucosio, nelle sue forme di destrosio monoidrato, ciclodestrina, amilosio. Nulla a caso: per ogni molecola assunta si deve sapere perché, quanto e quando. Con tutto l’impegno, la precisione e la professionalità che un ingegnere biomedico può mettere nella progettazione di un sistema di supporto alla propria salute. Sistema che in questo caso non è meccanico, né elettronico, quanto piuttosto biochimico, monitorato da uno strumento informatico.
E quindi, alla fine? Alla fine, resta il buco. Un lungo buco che va dallo sterno al pube. E non avendo il fisico di una manza, il rapporto tra la larghezza del buco e la circonferenza vita non gioca a mio favore. Gli esercizi rinforzano e irrobustiscono le pareti della “scatola” addominale, ma non possono chiudere un buco. E questo buco non mi lascia mangiare liberamente (ovvero quanto e quando) quello che posso mangiare. È una questione legata proprio al volume del pasto, che le mie “budella” riescono a processare solo se sono nella loro posizione fisiologica. Purtroppo, a causa del buco, non lo sono. In altri termini, la funzionalità della digestione è compromessa dalla mancata funzionalità della parete addominale. Quando mi riempio lo stomaco sto male, mi viene uno strano affanno e mi devo sdraiare. In una posizione specifica: sul fianco sinistro, con sotto un cuscino che fa da cuneo e solleva l’addome per rimetterlo al suo posto e con la fascia contenitiva che evita che l’addome si apra ancora da un’altra parte. A quel punto sento che le “budella” iniziano a lavorare, e sto meglio. Devo tenere la fascia contenitiva per almeno 6-7 ore dopo un pasto. Il mio pasto giornaliero è composto da un solo piatto, un secondo, ed è ovviamente la cena, perché non posso permettermi questa tiritera durante la giornata lavorativa. Il resto è un lungo digiuno, che posso interrompere con qualche micro-spuntino. Ma io sto comunque bene, perché il mio SISTEMA DI SUPPORTO ALLA NUTRIZIONE è attivo, sebbene non ne conosca gli effetti a lungo termine. Mi sono abituata a mangiare una volta al giorno e ho imparato a “nutrirmi senza mangiare”. L’attività sportiva prosegue, persino meglio di prima grazie alla selezione e al timing degli elementi, con il solo accorgimento di osservare un digiuno di almeno 12 ore prima di praticarla (ma ho tenuto 15 ore prima del triathlon extreme sul Gran Sasso, perché dovevo arrivare allo start con le “budella” super riposate!).
E allora, qual è il problema? Il problema è che io non riesco ad accettare che questa condizione duri fino alla fine dei miei giorni. Mentre accetto le mie intolleranze e il supporto enzimatico di cui necessito, non riesco ad accettare di dover dipendere a vita da una fascia contenitiva e da un letto dove sdraiarmi per poter mangiare un piatto di cibo. Ho preso in considerazione la possibilità di far chiudere il buco, con un bilancio rischi-benefici non ancora chiaro, oltre a tutti i problemi di contorno. Mi sono ritrovata di fronte a paventati scenari dal più roseo (probabilmente per aggiudicarsi l’appalto, economicamente insostenibile) al più cupo (probabilmente per ignoranza, la quale va sempre a braccetto con la cattiveria, e rende piccoli piccoli). Il mercato è come un mare sporco, dove si è costretti a navigare, nella speranza di approdare prima o poi ad un lido più pulito.
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